I 200 anni della Nona Sinfonia di Beethoven
- Lorenzo Giovati
- 12 mag 2024
- Tempo di lettura: 8 min
Per gli appassionati della musica di Beethoven, il 7 Maggio è una data che non passa mai inosservata. Vi ricorre infatti la prima esecuzione della più grande pietra miliare del sinfonismo di tutti i tempi: la nona sinfonia.
Quest’anno in particolar modo, poiché ricorrevano duecento anni, i più grandi teatri e le più grandi orchestre europee e mondiali, hanno omaggiato il capolavoro beethoveniano con pregevolissime esecuzioni, tutte la medesima sera del 7 maggio. Il maestro Muti dirigeva i Wiener Philharmoniker, il maestro Riccardo Chailly dirigeva l’orchestra del Teatro alla Scala di Milano, il maestro Klaus Mäkela dirigeva l’Orchestre de Paris e il maestro Andris Nelsons dirigeva l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia.
La storia della nona sinfonia inizia invero ben più di duecento anni fa. Beethoven infatti conobbe probabilmente Schiller quando si trovava ancora a Bonn (quindi intorno ai vent'anni), tramite Ludwig Bartholomeus Fischenich, amico del poeta e docente all’Università di Bonn. E’ proprio qui che forse Beethoven conobbe l'Ode An die Freude che diventerà il testo di uno dei brani musicali più riconoscibili e famosi di tutti i tempi. Beethoven rinunciò poi all’idea di musicare l’ode (che gli venne già in quegli anni) per problemi di censura. Nel 1811 si affacciò alla mente di Beethoven l'idea di iniziare altri due capolavori sinfonici, uno per la Società Filarmonica londinese, che glielo aveva richiesto, e l'altro che prevedeva un intervento corale. Solamente alla fine del 1823 Beethoven unì queste due idee in un unico progetto. Beethoven utilizzò allora l'ode di Schiller e nel febbraio 1824 terminò definitivamente la composizione. Era quindi assai deciso a volerla eseguire per la prima volta a Berlino, ma dopo varie insistenze da parte di alcuni amici viennesi affinché il maestro non facesse un così grande torto alla sua "seconda casa", egli fu persuaso a rimanere a Vienna. A complicare la situazione vi fu la difficile scelta che il maestro doveva compiere sul teatro e sugli interpreti della prima esecuzione, oltre alle sue difficoltà economiche, che tanto avevano commosso Rossini quando si recò nel suo appartamento per conoscerlo. Tanto che lo stesso Rossini tentò di persuadere l'aristocrazia a garantire un vitalizio a Beethoven, ma senza averne successo. Sottoscrisse allora personalmente una raccolta di fondi e ne consegnò il denaro così ottenuto direttamente al compositore. Nonostante le differenze di successo e musicali, Beethoven nutriva grande ammirazione per Rossini e per le sue opere. Ne fu prova il fatto che invitò Rossini a continuare a comporre opere buffe e che definì Il Barbiere di Siviglia "un'eccellente opera buffa", prevedendo persino che sarebbe stata rappresentata fino all'esistenza dell'opera italiana.
Numerosi sono gli aneddoti riguardo alla prima esecuzione della sinfonia che si tenne al Theater am Kärntnertor di Vienna, che sorgeva dove oggi si trova l’Hotel Sacher (dietro al Wiener Staatsoper). Beethoven, ormai completamente sordo, non riuscì mai ad ascoltare la sua sinfonia. E’ celebre l’aneddoto che vide protagonista il contralto Caroline Unger, che, ad esecuzione terminata, fece voltare il Maestro per vedere il pubblico in delirio tra applausi, fazzoletti e cappelli sventolati e una standing ovation. La stessa Unger, durante le prove, aveva protestato davanti a Beethoven apostrofandolo come "un tiranno su tutti gli organi vocali" a causa del trattamento del compositore verso le voci soliste. Si narra anche che la prima esecuzione fu qualitativamente scadente e piatta ma che venne poi migliorata per le esecuzioni successive.
La sinfonia giunse in Italia per la prima volta il 18 aprile 1878 (54 anni dopo la prima viennese) per essere eseguita nella Sala del Conservatorio (all'epoca non ancora Giuseppe Verdi) di Milano. Sul podio vi era Franco Faccio, direttore che il Maestro Verdi apprezzava per le sue doti di operista, ma non per quelle di sinfonista. Basta ricordare che, quando Faccio volle eseguire un concerto sinfonico a Parigi e chiese a Verdi un consiglio sul programma, il maestro preferì non rispondergli. Dopo un'altra esecuzione, sette anni dopo la precedente e sempre diretta dal maestro Faccio, la Nona Sinfonia arrivò al Teatro alla Scala il 19 maggio 1897, ben 73 anni dopo la prima viennese del 7 Maggio 1824. Sul podio, questa volta, vi era Charles Lamoureux. La nona sinfonia ebbe una lentissima diffusione in Italia. Si pensi che, in poco meno di ottant'anni, era stata eseguita solo tre volte a Milano, due volte a Bologna, una sola Torino e una anche Roma. Il motivo di tale resistenza era da ravvisarsi nell'impianto strutturale della musica italiana del tempo, che non prevedeva un così grande impiego di masse corali e orchestrali e soprattutto che le masse medesime fossero sottoposte a sforzi tecnici di tale importanza. L'esecuzione della Nona divenne così un concerto "straordinario".
Con il progredire della diffusione musica, delle società concertistiche, con dell'introduzione degli Enti Lirici e con l’avvento di altre novità (anche strettamente musicali), la Nona fu effettivamente inserita, almeno in Italia, nel consueto repertorio sinfonico, grazie al genio di Arturo Toscanini, che la diresse al Teatro alla Scala numerose volte, dando così il via ad un progressivo aumento della frequenza esecutiva.
Ogni grande direttore si è poi confrontato almeno una volta con l’esecuzione di questa sinfonia, salvo qualche rara eccezione, come quella di Carlos Kleiber (che frequentava un repertorio molto selettivo, a causa del suo perfezionismo), a riprova di come questa composizione sia importante anche per le carriere dei singoli direttori d'orchestra.
Tra le testimonianze più “storiche”, spiccano probabilmente quelle di Wilhelm Furtwängler (Berlino, 1942 - Milano, 1949 - Salisburgo 1951 - Bayreuth Festival, 1952 - Vienna, 1952 - Lucerna, 1954). In quest’ultima esecuzione, anche se l’impostazione generale di Furtwängler è quasi sempre la medesima, il direttore tedesco tende a prediligere tempi lentissimi nel primo movimento (che dura quasi 19 minuti), molto scavato, i quali però a mano a mano si fanno più accelerati nel secondo e nel terzo movimento fino a culminare in un finale velocissimo, le cui note sono quasi impossibili da cogliere distintamente. Non vi è però mai, come ne scrisse Adorno, una sola nota morta.
Un'altra edizione consegnata alla storia è quella di Arturo Toscanini, che si pone per certi versi agli antipodi rispetto a quella di Furtwängler, sia per concezione musicale, sia per senso estetico, come peraltro agli antipodi furono le loro scelte storiche e politiche, in parte (per Furtwängler) ancor oggi non pienamente risolte, sebbene, al di là delle analisi biografiche e storiografiche, rimanga il fatto che, nelle direzioni del maestro tedesco, nemmeno quelle che potrebbero esserne più permeabili (Beethoven, Bruckner, ecc.), non traspare mai nulla dell’estetica nazista e delle tragiche suggestioni ideologiche che supportarono i regimi dei tempi. Se ne ricava invece, sempre e soltanto, un limpido valore musicale, destinato a rimanere. Toscanini predilige, come era il suo stile, un'orchestra nervosa e asciutta, sebbene non priva di una componente emotiva, scevra però di qualsivoglia ornamento (come i rubati). L'esecuzione, che a distanza di quasi un secolo appare ancora attualissima, avendo la sorprendente capacità di porsi al di sopra di ogni fattore contingente, come ad esempio il gusto, si basa su tempi rapidi, al punto che il suo primo movimento dura ben 6 minuti in meno di quello di Furtwängler.
Tra le altre più classiche testimonianze meritano una menzione quella del maestro Abbado (con i Berliner Philharmoniker) e quella del grandissimo maestro Mariss Jansons (con la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks), in cui dominano i fraseggi eleganti e i tempi corretti. Le dinamiche sono in entrambe le esecuzioni ben marcate. A queste due versioni classiche ed eleganti, si contrappone bene l'incisione discografica del maestro Riccardo Muti per le dinamiche infuocate, che però non va mai a discapito di una analisi profonda della partitura, i tempi stretti e l'orchestra molto serrata (tutti tratti distintivi del giovane Muti a Philadelphia).
A gusto personale, devo però ammettere di provare una vera e propria venerazione per l'incisione discografica di Leonard Bernstein con i Wiener Philharmoniker, altra pietra miliare. Oltre al meraviglioso suono e alle delicate dinamiche viennesi che il direttore americano riesce a ricavare dall'orchestra, in un momento del suo percorso artistico che lo portò a regalare all’umanità il suo miglior Beethoven (quello, per intendersi, dell’ineguagliabile Fidelio viennese). L'interpretazione è sempre distesamente drammatica e ogni nota è perfettamente interpretata, soprattutto nel terzo movimento, che appare delicatissimo e cantabilissimo, e nel finale travolgente.
In un parterre così prestigioso è impossibile non rivolgere una menzione ad almeno una delle numerose incisioni discografiche di Herbert von Karajan. Il direttore tedesco, che ha lasciato quattro integrali delle sinfonie beethoveniane, tre delle quali con i suoi Berliner Philharmoniker, soprattutto in quella degli anni 70, fa risaltare la componente eroica della partitura, offrendone una lettura tedescamente orientata, forse oggi un poco cupa nel gusto esecutivo, ma basata su una qualità di suono orchestrale che è ancor oggi inimitabile e insuperabile.
Tra le testimonianze più moderne, e quindi anche più orientate a portare ad emersione connotazioni nuove della partitura, frutto di studi e di approcci innovativi, merita una citazione quella di recente lasciata dal maestro Paavo Jarvi, alla guida della Deutsche Kammerphilharmonie di Brema. L'esecuzione del direttore estone, che considero uno dei migliori attualmente nel circuito mondiale, è infatti ricca di colori vivaci e di dinamiche accese, con particolare focus su timpani e trombe.
Oggi, dinnanzi a questo monumento sinfonico, il pubblico si pone in modo consapevole, forte delle sedimentazione che nel tempo se ne è fatta e del fatto che la partitura è ormai definitivamente consegnata al patrimonio culturale dell’umanità. E’ questo però l’esito di un lungo percorso, come dimostra la genesi storica. A riprova di ciò sono di particolare interesse le reazioni che gli altri compositori (più o meno contemporanei a Beethoven) ebbero dinnanzi alla sinfonia. Giuseppe Verdi, per esempio, definì “sublimi“ i primi tre movimenti, ma di “pessima“ fattura l’ultima parte, proprio quella che oggi il pubblico attende con ansia quando reca ad assistere ad un'esecuzione della nona. Verdi inoltre aggiunse: "Non mi sorprenderei affatto se qualcuno venisse a dirmi che... la Sinfonia Nona è scritta male in alcuni punti, e che, fra le altre sinfonie, preferisce alcuni tempi che non sono della Nona".
Richard Wagner, per parte sua, ne tentò una riorchestrazione che non ebbe particolare successo e che Charles Gounod commentò con "è meglio lasciare a un grande maestro le sue imperfezioni, se ne ha, piuttosto che imporgli le nostre". A suo discapito, Wagner scrisse anche, riguardo la Nona: "La Nona Sinfonia di Beethoven divenne la meta mistica di tutti i miei strani pensieri e desideri riguardo alla musica. (...) Era considerato il "non plus ultra" di tutto ciò che era fantastico e incomprensibile, e questo bastò a suscitare in me un desiderio appassionato di studiare quest'opera misteriosa, (...) Questa, pensavo, doveva sicuramente contenere il segreto di tutti i segreti, e di conseguenza la prima cosa da fare era rendere mia la partitura attraverso un laborioso processo di copiatura. Ricordo bene che una volta l'improvvisa apparizione dell'alba fece un'impressione così straordinaria sui miei nervi eccitati che saltai sul letto con un grido, come se avessi visto un fantasma".
Anche Gustav Mahler tentò una, più o meno felice, riorchestrazione del capolavoro beethoveniano, dopo averlo anche diretto nella sua versione originale (si dice a memoria) nel 1886 a Praga. Dopo circa dieci anni di lavoro, Mahler propose la sua personale versione nel 1895 ad Amburgo, ricevendo critiche severissime. Mahler fu così amareggiato dalle recensioni che decise di emettere una nota esplicativa, in cui affermava che non era stato il primo ad apportare modifiche alla Nona (con riferimento implicito a Wagner, ndr.), e dichiarava di avere una "venerazione" per Beethoven.
La nona sinfonia, non ha solo influenzato la vita personale di alcuni grandi musicisti (come quella di Wagner o di Mahler che vi dedicarono del tempo per rielaborarla), ma ha accompagnato la storia degli ultimi due secoli anche nei momenti più bui, come quando Hitler volle che il direttore Wilhelm Furtwängler (molto amato dal Führer, soprattutto per le sue celeberrime interpretazioni wagneriane) la eseguisse per il suo compleanno, e Furtwängler, per non essere associato alle celebrazioni naziste, diresse la sinfonia il giorno prima (19/04/1942). Tra i momenti più belli che la musica di Beethoven ha accompagnato, e che la rendono iconica, non si può non ricordare l'esecuzione che Leonard Bernstein diresse nella città tedesca il giorno di Natale del 1989 per celebrare la caduta del muro di Berlino.
L'importanza della sinfonia continua ad essere vivissima ancora oggi, tanto che il celeberrimo “Inno alla Gioia” è stato adottato nel 1972, nella versione riadattata da Herbert von Karajan, come attuale Inno Europeo. Essa rimane quindi un faro luminoso nella storia della musica, il cui splendore continua ad irradiare in modo più vivo che mai anche dopo duecento anni dalla sua prima esecuzione. Attraverso i secoli, questa monumentale opera sinfonica ha ispirato e commosso generazioni di ascoltatori, trasmettendo un messaggio universale di gioia, di fratellanza e di speranza. Il suo messaggio continua a toccare il cuore di chiunque la ascolti. Mentre celebriamo il bicentenario della sua prima esecuzione, rinnoviamo il nostro impegno a preservare e ad apprezzare questo capolavoro eterno che continua a ispirare e ad illuminare il mondo della musica e a indicare la via all’umanità intera.